Quando il Brand Positioning diventa attivismo sociale: Nike al cuore delle persone
- Maria Chiara Teneggi
- 10 dic 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 2 gen 2020
Nike, una delle aziende che da oltre trent'anni lavora al posizionamento del brand raccontando la storia di altri protagonisti.
Sono passati trent'anni dal lancio dell’ormai notissimo slogan Just Do It e per festeggiare Nike lancia una campagna intitolata Dream Crazy che sta animando da settimane il dibattito pubblico. Il motivo è politico e sociale.
Nike ha scelto come voce narrante del nuovo spot e volto della campagna mediatica Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco 49ers, squadra di football americano della National Football League (NFL), noto alle cronache di tutto il mondo per essersi inginocchiato durante l’inno nazionale americano che precede l’inizio delle partite di football. Un segno di protesta, quello di Colin, contro la discriminazione verso le minoranze etniche che caratterizza da tempo gli Stati Uniti (in un momento socio-politico molto teso caratterizzato dall'inasprimento delle politiche sull'immigrazione voluto dal Presidente Donald Trump).
Fu proprio Donald Trump ad acuire il dibattito globale intervenendo a gamba tesa sulla NFL invitandola a lasciare in panchina tutti quei giocatori che non avessero rispettato l’inno. Colin Kaepernic, da quel gesto (era il 26 agosto 2016, ne seguirono altri nei giorni successivi anche da parte di altri atleti), ottenne emarginazione e fu persino cacciato dalla NFL.
A due anni di distanza Nike punta su Colin come testimonial e la scelta, come ci si poteva immaginare, ha scatenato animi e dibattiti che si sono altalenati tra sport, politica, cultura, società ed economia.

Ne fa un bel quadro Davide Basile, Marketing & Communication Manager di Original Marines, in un post su LinkedIn Pulse scrivendo:
“In questi giorni alcuni (tra cui il sottoscritto) stanno applaudendo Nike, mentre altri stanno bruciando le sue scarpe in segno di protesta. Altri ancora sono titubanti sull'uso dell’attivismo di Kaepernick come strumento di marketing e parlano di #FAIL. In seguito all’annuncio che Nike stava usando Kaepernick come testimonial, il prezzo delle azioni della società è sceso del 3% nelle prime negoziazioni successive al Labor Day. Numerosi gruppi hanno chiesto il boicottaggio della società, con tanto di video pubblicati sui social media di persone che bruciano rabbiosamente i propri prodotti Nike. Il presidente Trump ha twittato che Nike è stata “uccisa con rabbia e boicottaggio”, tuttavia a mio avviso la reazione del mercato alle notizie è stata significativa, ma avrà vita breve”.
Secondo Davide Basile a dimostrare che la polemica avrà vita breve sono i numeri:
“[…] andando a fondo nell'analisi dell'andamento del titolo di Nike si evince che negli ultimi cinque anni questo ha registrato una incredibile crescita del 167% e in ciascuno degli ultimi quattro anni ha subito un calo tra metà agosto e inizio ottobre (dovuto probabilmente al post “Back to School” e quindi, abbastanza fisiologico). La notizia è che, dai primi dati, pare che il calo del 2018, che viene attribuito a Kaepernick, sia in realtà meno pronunciato rispetto ai tre anni precedenti. Chi si è quindi affrettato a parlare di “tonfo in Borsa dopo il boicottaggio social” o di “fallimento della campagna Nike certificato dagli investitori”, avrebbe forse dovuto attendere un po’ di più o almeno documentarsi un po’ più approfonditamente”.
Secondo Interbrand, Nike è il diciottesimo marchio più importante del mondo, dietro a giganti della tecnologia come Facebook e Apple, ma davanti a qualsiasi altra società coinvolta nella moda o nell'abbigliamento al dettaglio.
In più, i dati di Edison Trends dicono che la campagna lanciata il 3 settembre ha portato un incremento delle vendite del 31% da domenica 2 a martedì 4 settembre. I numeri non sembrano quindi dire che si tratti di Fail ma semplicemente di una scelta molto coraggiosa.
Il magazine Fortune ha recentemente identificato Nike come una delle 50 aziende che hanno un impatto estremamente positivo all'interno della società. Come avrebbe potuto, dunque, una società che da anni spinge le persona a seguire i propri sogni con passione e sacrificio, andando contro e superando qualsiasi genere di ostacolo, cedere a giochi politici ed economici?
Nello spot lo stesso Colin racconta una storia di passione e sacrifici suggerendo allo spettatore di andare oltre qualsiasi pregiudizio, discriminazione razziale o religiosa, orientamento sessuale, handicap o follia: “Don’t ask if your dreams are crazy. Ask if they’re crazy enough”.
Messaggi che Nike amplifica con un altro spot, quello dove ad essere protagonista è l’atleta sudafricana Caster Semenya, plurimedagliata olimpica e purtroppo nota per infelici storie di cronaca (è stata più volte messa in dubbio la sua sessualità ed è stata sottoposta a test sui livelli del testosterone per confrontarli con quelli medi presenti nelle donne, oltre a subire vari attacchi ed umiliazioni pubbliche). Nike ha deciso che la sua storia dovesse essere ascoltata da tutti: “sono nata per fare questo”, dice lei nello spot.
“When you’re born to do it, just do it”, recita il claim finale.

Ciò che ci insegna Nike è che in una società come quella odierna dove le persone diventano brand e media, e dove brand e media calano il velo per farsi vedere come persone, l’unica strategia davvero efficace è quella di rimanere fedeli a se stessi.
Colin Kaepernick e Caster Semenya lo hanno fatto, Nike lo sta facendo da anni dimostrando che l’headline scelta per la nuova campagna Dream Crazy è tutt’altro che un claim pubblicitario: “Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto”.
Cosa pensano i consumatori?
Altre indicazioni al riguardo arrivano da alcuni sondaggi condotti relativamente alla questione.
I risultati della ricerca condotta da Morning Consult mostrano come l’impatto negativo sia stato minimo sui consumatori, su chi effettivamente acquista prodotti Nike.
E' lo studio di YouGov a fugare ogni dubbio. L’istituto di ricerca mostra in maniera ancor più decisa come la scelta fatta dal brand in questione sia stata apprezzata dai clienti di Nike che non solo hanno opinioni positive su Colin Kaepernick, ma affermano anche di ritenere valido un Brand che prende posizione su istanze sociali.
Se vi fossero ancora dei dubbi al riguardo, da un lato arrivano i dati di Apex Marketing Group che valutano il buzz, il passaparola online e lo sviluppo pubblicitario, che diventa parafulmine culturale, esattamente come pianificato.
Arrivano inoltre i dati di Edison Trend, società di ricerca specializzata sull’ecommerce, che certificano una crescita del 31% delle vendite online rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ache l’andamento borsistico del titolo, dopo la flessione del primo giorno della campagna, è in crescita con outlook positivo.
Insomma, si direbbe che i propri valori come brand si debbano allineare con i valori dei propri consumatori, del proprio pubblico di riferimento. Questa è l'unica cosa che guida la fedeltà oggi. Si tratta di un percorso a lungo termine, ma assolutamente necessario a connettersi efficacemente al target di riferimento.
Infine da citare è la ricerca di Edelman che mostra che tra il 60 e il 70 percento dei clienti cerca marchi in linea con i loro valori, e che, in specifico riferimento al “caso Nike”, parla di una vittoria reputazione per il brand.

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